Pubblicato su ICARO n. 33
Negli ultimi anni numerosi autori si sono occupati dell'influenza che eventi stressanti di diversa natura hanno sul sistema inimunitario. In presenza di una immunodeficienza, sia primitiva che secondaria, si può facilmente comprendere come tale connessione può arrivare a rivestire un'importanza fondamentale che non può assolutamente essere trascurata.
Già nel 1993, Snyder B.K. et al. hanno condotto uno studio comparativo sull'effetto, degli eventi stressanti su alcune funzioni del sistema immunitario, sottolineando la scarsa conoscenza scientifica in proposito. Gli autori hanno messo a confronto, nel corso di otto settimane, soggetti che avevano vissuto eventi stressanti di diversa natura, misurando alcuni parametri del sistema immunitario. I risultati dello studio mostrano una relazione inversamente proporzionale tra le quantità e le qualità delle situazioni di stress e la misurazione dei parametri osservati.
Spesso di fronte a pazienti con gravi patologia mediche l'attenzione viene canalizzata sull'aspetto fisiologico trascurando quasi completamente quello psichico: infatti, a meno che si tratti di un paziente con chiara doppia diagnosi, ci si concentra prettamente sulla cura della sua patologia fisica, tralasciando di considerare quanto e come l'assetto di personalità del paziente influisce e condiziona la sua malattia.
Infatti le esperienze di vita della primissima infanzia e dell'adolescenza, segnano profondamente il modo di porsi in relazione con gli altri e di affrontare i problemi e le difficoltà della vita adulta. Si può, quindi, facilmente comprendere, in base a tali premesse, quanto sia fondamentale capire come il paziente si relaziona ai medici e alla sua malattia, come elabora le inforinazioni fornitegli dal personale ospedaliero e come affronta le difficoltà legate alla cura della patologia di cui soffre e, infine ma non in ultimo, quanto tutto ciò influenza la sua vita di relazione e come quest'ultima influisce essa stessa sulla cura della malattia.
Pazienti che appaiono ad un primo e superficiale contatto sereni, tranquilli rispetto alla propria malattia e alla gestione di essa, con una apparente buona vita di relazione possono celare una profonda fragilità e difficoltà tali che, se non adeguatamente affrontati, possono stabilizzarsi ed evolvere anche in patologia psichiche piuttosto serie. Si può, quindi, facilmente comprendere come, se non affrontata e contenuta a tempo debito, la patologia psichica può sommarsi a quella fisica, stabilizzando una situazione complessa, nella quale un problema influenza e aggrava l'altro. Nello specifico, pazienti affetti da LES nascondono spesso, dietro un apparente buon equilibrio, molteplici difficoltà spesso più antiche dei manifestarsi della malattia stessa.
Partendo da tali premesse, frutto di un lungo e attento periodo di osservazione, abbiamo deciso di attuare un intervento psicologico specifico che si occupasse delle pazienti con LES seguite presso il Day Hospital del Servizio Speciale di Immunologia e Allergologia dell'Università "La Sapienza" di Roma, diretto dal Prof. F.Aiuti.
Durante i primi colloqui, di contenimento e appoggio, indirizzati essenzialmente a comprendere nello specifico le esigenze delle pazienti e le loro difficoltà al fine di meglio mirare il tipo di intervento psicologico da offrire loro, è emerso che tutte avevano subito nel periodo di vita precedente la diagnosi di LES, situazioni profondamente gravi e stressanti che avevano necessariamente segnato il loro modo di porsi nella vita di relazione. Anche coloro che sembravano più serene celavano, dietro un'apparente e fragile compensazione, traumi che non erano mai stati affrontati nella maniera adeguata, attraverso cioè un contesto terapeutico specifico, e che profondamente incidevano sul modo di elaborare e affrontare la realtà presente.
Tutte le pazienti da noi contattate hanno avuto un'infanzia tutt'altro che serena e spensierata, spesso traumatica, che ha profondamente condizionato tutta la loro vita successiva. Alcune di loro hanno subito abbandoni e conseguenti adozioni, a volte anche plurime. Si può facilmente comprendere come essere sballottate da una famiglia all'altra, prima di trovare quella disposta ad accoglierle, avendo già subito un abbandono dai genitori naturali, incide radicalmente nella stima di sé e, di conseguenza, sul modo di porsi rispetto agli altri. Generalmente tali premesse sfociano in un atteggiamento piuttosto passivo, e sottomesso rispetto agli altri, che nasconde però sentimenti di rabbia che possono rimanere per lungo tempo nascosti e sfociare poi in aggressività diretta sia verso di sé che verso gli altri. Altre pazienti sono figlie illeggittime, in una condizione sociale e culturale (circa 40 -50 anni fa) ove ciò significava necessariamente essere emarginate. Altre ancora hanno avuto uno o entrambi i genitori estremamente periferici, che hanno delegato le funzioni di accudimento e cura dei figli ad altri; spesso in tali famiglie esisteva un profondo conflitto tra la coppia genitoriale, a volte anche inespresso, che se non ha portato alla separazione dei coniugi, ha comunque segnato la comunicazione tra loro e creato una sommersa e costante situazione di stress in cui la figlia non sapeva dove e come collocarsi. Inoltre alcuni genitori delle nostre pazienti avevano una franca patologia psichiatrica.
Tali esperienze infantili hanno ovviamente contribuito a creare un'idea di sé piuttosto svalutante, con una bassa autostima che se pur apparentemente compensata ha inciso nella vita di relazione, inducendo spesso le pazienti ad avere un atteggiamento estremamente passivo. In tale situazione gli eventi gravi, come ad esempio la diagnosi di LES, sono stati affrontati e vissuti quasi con rassegnazione, come se fossero un completamente inevitabile. Ciò che colpisce è l'impossibilità che queste pazienti avvertono nel cambiare lo stato di cose in cui vivono; tale senso d'impotenza pervade tutte le aree della loro vita, compresa quella della malattia. Basta pensare a come alcune di loro affrontano le difficoltà legate alla gestione della loro patologia e la pesantezza che deriva dal suo essere cronica : in modo discontinuo, interrompendo le terapie, non prendendo le precauzioni adatte, ecc. A volte il personale medico, pur conoscendole da anni, non riesce a contenere tali comportamenti che, se ripetuti nel tempo, possono divenire rischiosi e, a volte, aggravare il loro stato di salute. Anche nella vita privata hanno un atteggiamento passivo e difficilmente riescono a mettere in discussione le loro scelte ed il loro modo di porsi, fino a provare, a volte, risentimento nei confronti degli altri quali fossero unici protagonisti e loro spettatrici.
Si è pensato di concepire un intervento che potesse offrire più possibilità di scelta a seconda delle esigenze della paziente: psicoterapia individuale, di gruppo, di coppia o familiare. Ovviamente le pazienti possono usufruire di più interventi anche in contemporanea, ad esempio psicoterapia di gruppo e individuale. Il tipo di intervento da attuare viene proposto secondo i seguenti criteri: rispetto al disagio, alle risorse disponibili e utilizzabili (ad esempio possibile collaborazione dei familiari), alla situazione fisica. In generale, comunque l'intervento proposto vuole essere un vero e propro intervento psicoterapico e non circoscritto all'area della patologia fisica. Il gruppo, ad esempio, è concepito come un vero e proprio gruppo di analisi e non di contenimento o di autoaiuto, come spesso proposto a pazienti portatori di patologia terminali o croniche (tumori, HIV, ecc.).
Rispetto a tale impostazione la patologia medica diviene solo una delle aree prese in considerazione nell'intervento sulla paziente e non l'unica : infatti viene proposto un raggio di azione più ampio che considera la persona in toto.
Risultati di tale lavoro terapeutico mostrano un migliorainento netto della patologia psichica delle pazienti con evidenti effetti nella loro qualità di vita, compresa la gestione della malattia e dei farmaci.