Relazione presentata al XXIII Congresso Nazionale
della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica - in occasione della
GIORNATA NAZIONALE CONTRO IL LES
tenutosi a SORRENTO: Sabato 13 Ottobre 2001
Pubblicato su ICARO n. 35
LES: ESPERIENZA CLINICA CON MICOFENOLATO MOFETILE
Dott. Edoardo Rossi
Divisione di Ematologia I, Azienda Ospedale S. Martino e Cliniche
Universitarie convenzionate. GENOVA
Lacido micofenolico (AM), principio attivo del micofenolato mofetile (MFM), è un
inibitore selettivo, non competitivo e reversibile, dellinosino monofosfato
deidrogenasi (IMPDH) enzima cardine del metabolismo "de novo" delle purine.
Leffetto citotossico viene esercitato in modo prevalente sui linfociti poiché tali
cellule, per il metabolismo purinico, utilizzano questa via metabolica in modo obbligato
non essendo in grado di utilizzare la via "di salvataggio" che, invece,
rappresenta la via metabolica alternativa per la maggior parte delle cellule
dellorganismo. Leffetto linfocitotossico dellAM è ulteriormente
esaltato nei confronti dei linfociti attivati, in quanto essi utilizzano lisoenzima
II dellIMPDH sul quale lAM è cinque volte più attivo rispetto
allisoenzima I utilizzato dalle cellule quiescenti (1). LAM inibisce il
trasporto di fucoso e mannoso alle glicoproteine di membrana impedendo in tal modo la
sintesi di alcune molecole di adesione.
Ne consegue:
una ridotta attivazione antigenica dei linfociti
un ridotto reclutamento delle cellule infiammatorie nelle sedi di infiammazione
linibizione dellattivazione delle cellule endoteliali con la conseguente liberazione di citochine proinfiammatorie
una ridotta maturazione e funzionalità delle cellule presentanti lantigene.
LAM è inoltre in grado di inibire la produzione del NO, molecola ad
intensa attività proinfiammatoria e citotossica, attraverso linibizione della
sintetasi della forma inducibile (2). LAM ha, in vitro, un effetto inibitorio
diretto sulla differenziazione e proliferazione dei miofibroblasti (3). Tale effetto è
particolarmente importante nei pazienti con nefrite lupica.
LAM venne isolato da Gosio nel 1896 (4) da colture di Penicillium e il suo effetto
immunodepressore fu riscontrato per la prima volta da Gilbett nel 1972 (5). Marinari e
coll. trattarono con lAM 35 pazienti affetti da psoriasi, per un periodo medio di 89
settimane; 33 dei 35 dimostrarono una risposta buona/eccellente. Gli effetti collaterali
gastro-intestinali resero difficoltoso il prosieguo della terapia (6).
Nel 1990 Lee e coll, allo scopo di migliorare la biodisponibilità orale dellAM,
sintetizzarono lestere morfolinoetilico: il MFM. Il farmaco appena assorbito in
circolo, veniva rapidamente idrolizzato nel principio attivo (7).
Trials clinici controllati hanno dimostrato che:
il MFM è efficace nel ridurre lincidenza del rigetto acuto nei pazienti sottoposti a trapianto renale e
in combinazione alla ciclosporina A e al cortisone, il suo effetto preventivo é superiore a quello dellAzatioprina (8).
Nel 1998 Glicklich e coll. segnalarono lefficacia terapeutica del MFM in due pazienti affetti da nefropatia lupica resistente al trattamento convenzionale con Ciclofosfamide per via venosa (9). Nel 2000 Cian e coll. pubblicarono uno studio randomizzato che prevedeva la somministrazione di MFM contro Ciclofosfamide nel trattamento di pazienti affetti da nefropatia lupica diffusa proliferativa. Essi dimostrarono una pari efficacia dei due regimi terapeutici con una minor tossicità del MFM rispetto alla Ciclofosfamide (10). Lefficacia del farmaco è stata dimostrata, oltre che sulla nefrite lupica, anche sulla sintomatologia cutanea, articolare, ematologica e neurologica della malattia (11-12-13).
ESPERIENZA PERSONALE
Dallottobre del 1997 allagosto del 2001 presso la Divisione di
Ematologia I dellOspedale S. Martino di Genova 44 pazienti affetti da LES attivo,
scarsamente responsivi o intolleranti alla terapia tradizionale, sono stati inseriti in un
programma terapeutico che prevede la somministrazione di MFM (2 g/die suddivisi in due
somministrazioni) in associazione a corticosteroidi.
Si tratta di 41 femmine e 3 maschi con età media di 37 anni (range 15-69 anni), la storia
media di malattia è di 11,7 anni (range 1-38 anni) e la durata media del trattamento di
14 mesi (range 1-24 mesi). La sintomatologia era allinizio eterogenea: artralgie 23
pazienti, nefropatia lupica 18, febbre 17, neuropatia lupica 15, manifestazioni cutanee
12, sindrome di Hughes o da anticorpi anticardiolipinici 8, acrocianosi/fenomeno di
Raynaud 7, piastrinopenia immunomediata 6, vasculite 6, sierosite 2. Due pazienti
presentavano associazione di LES con Sclerosi Multipla ed una paziente con Miastenia
Grave. I dati clinici relativi a questultimo caso sono stati recentemente pubblicati
(14). Due pazienti avevano, in associazione al LES una preesistente epatite cronica HCV
positiva.
Lo score medio iniziale dello SLEDAI era di 13,7 (range 6-23). Dopo 3 mesi di trattamento
si era ridotto a 5,8, dopo 6 mesi a 4,1 e dopo 12 mesi a 2,7. La riduzione media del
dosaggio del corticosteroide, nel corso del trattamento, è stata del 40% circa; tre
pazienti lo hanno potuto sospendere, 17 lo hanno ridotto di almeno il 50%, mentre 15 hanno
mantenuto il dosaggio iniziale. Diciassette pazienti avevano una nefropatia lupica, in
questi la riduzione media della proteinuria giornaliera, durante il trattamento, è stata
del 47% con riduzione da valori medi di 1840 g a 870 g. Quattro pazienti non hanno subito
variazioni significative della proteinuria giornaliera (<50%) pur avendo una
regressione dei parametri biologici di attività (ridotta espressione degli anticorpi
anti-Ds-DNA, aumento dei valori del C3, C4 e del CH50).
Dei sei pazienti affetti da trombocitopenia autoimmune cinque hanno dimostrato una buon
incremento dei valori piastrinici (da una media di 30 x 10^9/L a quella di 123 x 10^9/L) e
4 su 5 hanno potuto ridurre il corticosteroide di oltre il 50%.
Diciotto su 23 pazienti con artralgie, 16 dei 17 pazienti con febbre e 8 dei 10 con
lesioni cutanee hanno avuto una completa scomparsa del sintomo. Tutti i 15 pazienti con
manifestazioni neurologiche iniziali e cinque dei sei con vasculite hanno dimostrato una
lenta, ma completa risposta alla terapia. Gli 8 pazienti con lassociazione di una
sindrome da anticorpi anticardiolipinici non hanno manifestato episodi trombotici durante
il trattamento. Entrambi i pazienti con sierosite hanno risposto alla terapia.
In sintesi trentanove dei 44 pazienti entrati nello studio sono valutabili per la risposta
terapeutica; di questi, 28 hanno avuto una risposta buona (72%) e nove una risposta
parziale, con una percentuale di risposte del 95%. Due pazienti sono risultati non
responsivi.
Il 30% circa dei pazienti ha avuto una tossicità gastrica e il 25% circa una tossicità
neurologica, entrambe di modesta entità, tali da non richiedere la sospensione del
trattamento. Un solo paziente ha manifestato una leucopenia, prontamente regredita dopo la
riduzione del dosaggio del farmaco. Dei 5 pazienti non valutabili 2 hanno interrotto
volontariamente il farmaco entro i primi due mesi di terapia e 3 hanno un follow-up troppo
breve. Quattro pazienti hanno manifestato una tossicità grave, tale da rendere necessaria
la sospensione del MFM, rispettivamente dopo 18, 13, 3 e 2 mesi. Nel primo caso si sono
verificate vaginiti ricorrenti da Candida Albicans, refrattarie al trattamento
antimicotico per via sistemica, mentre la paziente era in buona risposta terapeutica per
il LES. La remissione di malattia è durata circa 12 mesi dopo la sospensione del MFM. Gli
altri tre pazienti hanno manifestato una diarrea profusa in associazione a rialzo degli
enzimi pancreatici. I pazienti che avevano sospeso per tale tossicità a 13 e 3 mesi erano
rispettivamente in risposta completa e parziale, laltro paziente non era valutabile.
Gli effetti tossici sono regrediti dopo 3-6 settimane dalla sospensione del farmaco.
Come inizialmente riportato da Gaubitz e coll. (11) anche nella nostra casistica abbiamo
osservato una scarsa correlazione tra i risultati clinici e i parametri laboratoristici.
Nel corso del trattamento in un paziente si è osservata la scomparsa degli anticorpi
anti-nucleo (FAN), nel 60% la riduzione del titolo degli anticorpi anti-Ds-DNA e nel 40%
la loro scomparsa . Tale evento si è generalmente osservato dopo 6-12 mesi di terapia. Il
50% circa dei pazienti con bassi livelli iniziali delle frazioni C3 e C4 del complemento
ha ottenuto una normalizzazione dei parametri e il 67% di quelli con ridotto CH50 ne ha
ottenuto la normalizzazione. Le variazioni medie dei valori del C3, nel corso della
terapia, sono state da 69 a 87 mg/dl, quelle del C4 da 8 a 13 mg/dl e quelle del CH50 da
547 a 716 u.e./ml.
Nel corso del trattamento non si sono verificate sostanziali modificazioni dei valori medi
dellemoglobina, dei leucociti e delle piastrine (Hb: 12,7 pre-terapia e 12,8 g/dl
durante il trattamento, Leucociti: 8,6 7,8 x 10^9/L, Piastrine: 216 232 x
10^9/L).
CONCLUSIONI
Questo studio dimostra lefficacia del MFM nel trattamento del LES attivo,
anche se pesantemente pretrattato e scarsamente responsivo alla terapia tradizionale.
Generalmente i tempi per la risposta terapeutica sono lunghi (dellordine di 8-16
settimane) e, particolarmente nei primi 6-12 mesi, si può assistere a modeste
riaccensioni della malattia che richiedono, per brevi periodi, un incremento del dosaggio
dello steroide. La tossicità è risultata moderata e solo in 4 dei 44 pazienti trattati
si è resa necessaria la sospensione del trattamento. Un paziente, in cui si era
verificata una leucopenia marcata con la dose piena del farmaco, dopo riduzione del
dosaggio ha avuto una normalizzazione della conta leucocitaria e un controllo della
malattia. Non abbiamo osservato altri aspetti di tossicità ematologica.
Come ho detto, il MFM è un inibitore specifico e rapidamente reversibile dellIMPDH.
La sua specificità nei confronti di un unico sito fosfato nel legame con lIMPDH ne
riduce la tossicità e aumenta lefficacia nei confronti di altri inibitori quali la
Tiazofurina (15); la rapida reversibilità consente, in caso di infezione virale o
fungina, di ottenere una ripresa dellattività linfocitaria dopo la sua sospensione.
Il MFM non è un nucleoside e pertanto non interferisce con gli enzimi di riparazione del
DNA (come la Mizoribina); nessuno dei suoi metaboliti viene incorporato nel DNA (come nel
caso dellAzatioprina), pertanto non è mutageno (16). Il MFM è teratogeno nei ratti
e nei topi, peraltro è stata segnalata la nascita di 5 bimbi sani da donne che hanno
assunto il farmaco durante la gravidanza (17). Le donne che iniziano il trattamento con
MFM devono comunque essere informate del suo potenziale effetto teratogeno e sottoposte ad
adeguate misure contraccettive.
In conclusione le caratteristiche biologiche del MFM lo rendono particolarmente indicato
nel trattamento di questa patologia. Noto che le cellule endoteliali nel LES giocano un
ruolo centrale nella patogenesi del danno dorgano, in particolare nella patologia
neurologica e renale (18) e che il MFM inibisce lespressione delle molecole di
adesione sulla superficie di queste cellule, riducendone lattivazione, si evince che
il MFM ha un duplice effetto terapeutico sulla malattia: immunodepressore e
anti-endoteliale.
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