La storia di Roberta
Sono Roberta, ho 29 anni e a 14 anni ho scoperto di avere il Lupus.

Correva l'anno 2006. Era agosto. Ero un'indistruttibile quattordicenne a Disneyland Paris.
Impavida, irriverente e indomita. Credevo fermamente nell'infallibilità del mio mondo.
Sfortunatamente, proprio in quel periodo, un suo ingranaggio si è incastrato, il sistema corpo si è rivelato difettoso e ha danneggiato proprio il suo stesso fulcro vitale: il cuore e i polmoni.

Ho cominciato ad avvertire delle forti fitte al petto proprio mentre mi scatenavo sulle montagne russe.
Amabili coincidenze.

Da lì, nell'arco di un mese una cascata inarrestabile di eventi mi ha travolta: il ricovero all’ospedale pediatrico, la pericardite, la pleurite, la diagnosi finale, il bombardamento di farmaci e le parole più difficili da inghiottire: "non potrai guarire".

La storia di Roberta
Il mio viso si è cominciato a gonfiare a dismisura, per gli effetti collaterali del cortisone e per la rabbia che covavo dentro. Mi sentivo come se, proprio sul più bello, mi avessero assestato un colpo paralizzante e poi mi avessero buttato in mare. La fortuna è stata che, sotto di me, invece delle onde c'era una famiglia che, come una rete di sicurezza, mi ha riportato a galla.
Ad ogni modo, ho sempre detestato parlare del Lupus.

Ho trascorso anni a cucirmi meticolosamente addosso un vestito da supereroina calpestando le possibilità di mostrarmi vulnerabile. Figuriamoci se ne volevo parlare.

Da adolescente, fingevo una vita normale, nascondevo i farmaci anche alle amiche più strette e non parlavo a nessuno dei sintomi, dei day hospital e delle mie paure.
Tacevo le fitte al petto, la stanchezza, i dolori articolari. Taceva l'ingranaggio rotto, il pezzo imperfetto di me.

Con numerosi sforzi ho raggiunto il mio scopo: avevo dissolto tutti i sospetti, dissipato qualsiasi possibilità di sembrare debole o diversa.
Al contrario, nella mia cerchia, nel mio mondo venivo considerata l'Irriducibile.
Un'esplosione di energia. Quella che continuava a ballare anche a musica spenta.
Le amiche spesso mi rimproveravano:
"Robè dove sta l'interruttore? Come ti spegni?".

Ho sempre avuto una gran fame di vita, una fame alimentata proprio da quella stessa diagnosi che la vita me l'ha fatta vacillare.
La verità è che ho avuto una grande fortuna durata tanti anni, una tregua chiamata remissione di malattia.

In questo spazio vitale ho costruito, mattoncino dopo mattoncino, la mia vita felice.
Ho volato ogni anno in un angolo diverso del mondo con occhi curiosi e una giusta dose di imprudenza.
Ho provato molti sport e li ho praticati con religiosa regolarità facendo dell'adrenalina una fedele alleata.
Ho intrapreso un percorso universitario, mi sono laureata con la massima soddisfazione e ho cominciato a lavorare come Logopedista.
Non contenta, ho intrapreso un altro percorso, quello dell'Osteopatia, giunto ormai quasi al termine.
Sono andata a vivere per conto mio in una casa vicino alla mia famiglia arredata con creatività.
Ho organizzato feste, cene, eventi in maschera, grigliate, trekking...in poche parole i miei amici vorrebbero legarmi al divano.

In tutto questo periodo di vita mi sono regalata uno spazio d'ascolto intraprendendo un lungo percorso di psicoterapia che mi ha permesso di convogliare le energie nella giusta direzione.
La storia di Roberta
Infine mi sono innamorata di un ragazzo svitato almeno quanto me, da tre anni è con lui che organizzo feste in maschera, viaggi e montagne russe. Senza fitte stavolta.

Purtroppo due mesi fa la bestia si è risvegliata e sono stata ricoverata d'urgenza. Ancora una volta un attacco mirato all'organo che dirige l'orchestra: il cuore.
Diagnosi: Miopericardite.
Il ricovero in isolamento Covid è stato devastante, mi ha piegata psicologicamente e fisicamente ma lo sconforto è durato un solo attimo. L'attimo seguente ero fieramente in piedi, camminavo lungo la corsia del reparto, chiacchieravo, strappavo qualche risata alle compagne di stanza e rassicuravo chi aveva appena ricevuto la mia stessa diagnosi.
A causa dell'isolamento non avevo sotto di me la mia fidata rete di sicurezza quindi ho preso ago e filo e ho cucito una nuova rete di rapporti umani.

La storia di Roberta
Per la prima volta, nella corsia isolata dell'ospedale, probabilmente nel più cupo momento della mia vita ho sentito l'urgenza di scrivere, di strappare il vestito da supereroina e sentirmi in diritto di essere fragile.
Non ho scritto in modo confidenziale ad un'amica ma per urlare al megafono quel dolore rabbioso che avevo insabbiato.
Per confessare al mondo e riconoscere a me stessa, una volta per tutte, che la vita è spesso stata una dura guerra e io non ho mai avuto paura di lottare.

Ho buttato giù delle righe sul telefono e le ho pubblicate su Instagram sotto la foto del reparto in cui mi trovavo. Quella foto social non era la solita "acchiappalike" ma un modo per osare, mostrarmi e ringraziare.

Da quando ho premuto INVIO sul telefono mi sono sentita libera. Libera di parlare apertamente della malattia ai colleghi e agli amici, anche quelli meno stretti. Serena nel sentirmi dire a bocca aperta: "ti conosco da una vita e non immaginavo minimamente avessi il Lupus!".

Bene, non so come gli altri mi vedano ora che ho riposto in soffitta la maschera dai superpoteri ma so come mi vedo io:
una guerriera silenziosa con un coltello tra i denti e lo stereo in mano, pronta a combattere e a far baldoria per festeggiare la vittoria.

POST :

È finito il caos del ricovero.
Isolata sotto la scritta: Reumatologia.

In quel momento denso sapevo che non c'era verso: stavo precipitando.
Durante la caduta libera però ho sentito tirare alle spalle.
Allacciato al corpo un improvviso ed inatteso paracadute di forza mi ha ricordato quanto io sia radicata alla vita. Da qualche parte avevo riservato, in caso di emergenza, quel tipo di resilienza che sa sciogliere la paura come un post-it nel taschino che ti ricorda di reagire.

NO, non sono guarita: sono caduta indietro, brutalmente sulla schiena ma forse ho fatto solo la rincorsa per correre più forte e sperimentare più voracemente ogni sfumatura del vivere.

In questo posto grigio è stata indispensabile un'inesauribile fonte di energia luminosa, che sarebbe in grado di scambiare il giorno con la notte se la sua luce non bastasse.
"Amore ci penso io a te" e poi l'assurdità è che lo fa davvero (esistono).
La dimostrazione che non avrei potuto scegliere un amore migliore: un fidanzato indomabile ed irriducibile con un cervello a forma di grande cuore che non smette di ricordarmi quanto sia fortunata.
La storia di Roberta
Una grande trasfusione di amorevole coraggio endovena è stata la mia numerosa famiglia che non mi ha mollato un attimo appostandosi con tenda e striscioni sotto la finestra dell'ospedale e cercando, con scarsi risultati, di nascondere l'agitazione e la voglia di prestarmi le migliori cure: le coccole della famiglia.
"torna a casa core di mamma e papà".

Grazie alle amiche d'infanzia, alle dolci colleghe, ai nuovi amici e alle persone care per aver compreso il momento e avermi dimostrato il massimo supporto con bombardamenti di videochiamate e messaggi e non lasciandomi il tempo di vedere in pace il TG con la mia vecchietta.
"A Robè c'hai da fa pure in ospedale! Sempre a fa Public Relations".

Infine, ma non per importanza, un abbraccio alle mie compagne di sventure ospedaliere: alla piccola e fragile Ale che nel suo più difficile momento di vita sta sbucciando la scorza dura di ferite per esibire una criniera da impavida leonessa, e alla cara Nonnina Doina dimostrazione che l'ironia ed il buon carattere possono rivoluzionare il mondo.

In conclusione, non so se mi definirei un buon esempio, se dalla negazione della malattia sono intimamente riuscita a sublimare la batosta che la vita mi ha dato.
Quello che so è che ho il sincero desiderio di rassicurare chi ha a che fare con il Lupus.
La storia di Roberta
Chi come Alessandra, la mia compagna di ricovero diciottenne, guarda angosciosamente al futuro con occhi sgranati e vorrebbe solo sentirsi dire che avrà una vita normale.
E chi come me a 14 anni aveva voglia di spaccare tutto per dissolvere la rabbia.
In fondo è come se avessimo un pesante zaino sulle spalle di cui non possiamo in alcun modo liberarci. Il peso a tratti ci inchioda a terra schiacciando corpo e pensieri. Dopo aver imprecato per questa pazzesca sfiga. Possiamo concederci solo un breve tempo distesi sotto la forza di gravità. Dopodiché dobbiamo scattare in piedi e reagire.
Pensateci bene... con uno zaino sulle spalle ed un buon allenamento, si può imparare a scalare qualsiasi montagna!
disegni
La storia di Borry
Avere il lupus è come un viaggio quotidiano sulle montagne russe, è un’avventura e non sai mai cosa ti aspetta.
Avere il lupus è un limite, è una privazione, significa convivere con dei sacrifici, ma è anche trovare il modo per superare l’ostacolo. Avere il lupus è imparare a guardare il problema da un altro punto di vista.
Avere il lupus è combattere la partita più importante della tua vita, sapendo che la vittoria è in un pareggio.
Avere il lupus è convivere con giornate buie, tristi, negative, ma imparare a rialzarti, trovare la forza di reagire.


Avere il lupus significa imparare ad ascoltare il tuo corpo, a rispettarlo, ma soprattutto a volerti bene.
Avere il lupus è imparare a vivere giorno per giorno, a fare un passo dopo l’altro, è imparare a non avere tutto e subito, è imparare ad avere pazienza, ma è anche imparare a gioire per ogni minimo progresso.
Avere il lupus è come vivere una vita in due, con un compagno di vita a volte un po’ troppo invadente, e come in tutte le relazioni che si rispettino non è sempre facile. Oggi mi sacrifico io, domani tocca a te.

Avere il lupus è imparare che niente è impossibile, è imparare a prendere ogni giorno il meglio che viene, imparare a godersi la vita, perché i momenti belli e brutti che siano non tornano. E soprattutto insegna che, come ogni storia che si rispetti, dopo il temporale torna sempre l’arcobaleno, sta a noi scovarlo.
É vero, avere il lupus ci cambia la vita, ci insegna la paura, ci priva di tante cose, ma ci insegna anche la cosa più importante, a conoscere il nostro corpo, a dargli importanza, amore e attenzioni, e a piccoli passi, senza mai strafare e soprattutto senza piangersi addosso possiamo raggiungere dei piccoli traguardi anche noi.
Dobbiamo essere bravi a capire i nostri limiti e a rispettarli, ma soprattutto a farne un dono e non un limite o una privazione.

Ebbene nel mio calendario ci sono due giorni da festeggiare, il mio compleanno e il 10 gennaio giorno in cui mi sono laureata, dimostrando che con le giuste accortezze si può tutto, ma è anche il giorno in cui quella prof. mi ha detto, guardandomi in faccia che la mia vita non sarebbe più stata la stessa.
Quella prof. un poco burbera dalla parlata fiorentina di cui mi sono innamorata, che guardandomi in faccia non mi ha mai nascosto niente, i rischi, i traguardi, le cadute, le privazioni. Quella prof. che era bastone e carota, come quando dovevo scegliere il mio futuro, e fu Giurisprudenza, fu Giurisprudenza dopo una lunga trattativa, dopo solenni promesse. Ma fu lei che a una visita, anni dopo la prima, guardandomi in faccia con gli occhi lucidi mi disse “sei la mia vittoria, il mio risultato più bello, continua così e non perdere tutto il vantaggio che abbiamo guadagnato”.

La mia storia con il lupus è iniziata quando avevo appena 11 anni, sotto le vacanze di Natale, ammetto che i miei Natali, da quel giorno, sono cambiati, non c’è più il vischio alla porta, e cerco di circondarmi di cose belle, cerco di tenermi impegnata, in modo da non aver modo di pensare a quella triste ricorrenza, ma non sempre è facile. Ero piccola ma ho subito capito che mi stavo giocando la partita della vita, non sono sempre stata la paziente modello, anzi, ma la consapevolezza che lui c’è e vive con me non mi ha mai abbandonata un solo istante.

Vivere con il lupus non è un gioco o una passeggiata, è un viaggio, un viaggio sulle montagne russe, un viaggio alla scoperta della paura e della debolezza, ma anche dei nostri limiti. Ma al tempo stesso è un viaggio alla scoperta della nostra forza, perché sopportare le privazioni che ci chiede, i limiti che ci pone non è facile, e anche se non lo vogliamo ammettere siamo persone forti che hanno saputo reagire alla vita.

disegni
La storia di Roby
Quando decidi di combattere per te stessa… è lì che tutto cambia.
Avevo 25 anni ed ero nel pieno della mia vita, meravigliosa carriera che prometteva anche bene, andavo a ballare, a cena fuori, facevo anche le 4 di mattina e che problema c’era se alle 7.30 dovevo essere già in tailleur pronta per l’ufficio? Amici, amori e famiglia? Ero sempre in prima linea, c’ero per chiunque avesse bisogno, con entusiasmo, voglia di vivere ed una carica fisica ed emotiva che solo chi ha conosciuto può davvero sapere quanto forte fosse.
Tuttavia qualcosa che non andava c’era già, piccoli segnali che cerchi di respingere, cose che compaiono all’improvviso ma su cui non vuoi focalizzarti e temibili sensazioni che ti portano a dire “fermati un secondo”.

Ricordo ancora mio fratello (ai tempi vivevamo entrambi a casa con i nostri genitori) e per giocare la sera mi diceva: “patologiaaaa”! Era un nostro modo, in voga allora tra noi, per dire che avevi qualcosa che non andava. Dormivamo in un letto a castello (che meraviglia anche solo ricordarlo) e prima di dormire facevamo quasi tutte le sere qualcosa che io chiamavo “Brother’s fisioterapia”: lui da sopra mi teneva in trazione le braccia e in quel momento non sentivo dolore ma solo sollievo. Ci ridevamo, che altro potevamo fare, io di certo (pensavo) non potevo avere davvero qualcosa che non andava.

Col passare del tempo però i dolori articolari aumentavano tanto, erano sempre diversi, a volte solo alle braccia o alle gambe, altre volte ovunque. Mi ritrovavo a scattare all’improvviso col braccio o col collo o con un qualunque arto. Anche alla guida mi succedeva, i mal di testa divennero una costante e con essi l’abuso di farmaci antidolorifici. La mattina sembravo spesso una “Diva Hollywoodiana” eh già perché sia mai che penetrasse un pochino di luce… senza i miei grandi e bellissimi occhiali neri non uscivo dalla stanza. Mi chiamavano “Brooke Logan” (la bionda di Beautiful!) come non ridere al ricordo, ero io stessa a riderci perché oggi so che si trattava di fotosensibilità ma in quel momento ero solo la solita pazzerella di casa che si metteva gli occhiali da sole appena sveglia e faceva fare una sana risata a tutti.

Non ricordo bene come sia successo ma c’è stato un momento in cui ho capito, come fosse un’illuminazione, che qualcosa non andava e benché a me e mio fratello piacesse l’idea che io fossi oggetto di studi alieni (sto ridendo mentre scrivo eh :-) ) sapevo che dovevo indagare.
La spinta vera a farlo arrivò quando le braccia e le gambe si riempirono di papule sottocutanee e altre palpabili, rosse, pruriginose, calde, eritematose fino a ponfi di diversa natura. La mano destra era semi-paralizzata, la classica mano ad artiglio! (Che fu una mononeurite lo seppi solo 9 anni dopo) Insomma suvvia non stavo bene. Eravamo nel 2008.

Vi dirò in brevi punti come andò il lungo percorso visto che poi vorrei parlarvi di OGGI, perché quel che vorrei ricordaste di me non è la brutale difficoltà per arrivare alla diagnosi MA la meravigliosa consapevolezza di amarsi e amare oltre ogni limite umano.
Quante tappe prima di raggiungere la meta! Eccone alcune…
Dermatologia. La capillaroscopia riscontrò un Fenomeno di Reynaud secondario a patologia da indagare e compatibile con anomalie autoimmuni. (Ma... niente diagnosi!)
Iniziai così ad essere “rimpallata” da uno specialista ad un altro.
Neurologia. Potenziali evocati multipli, punture lombari, analisi di laboratorio e tanto altro. Avevo un’evidente alterazione dei potenziali motori, danno al 1° motoneurone, acinesia arto superiore destro, sindrome piramidale POI extrapiramidale, sindrome parkinsoniana atipica ecc. ecc.) (Ma… niente diagnosi!)
Gastroenterologia. Lo stomaco presentava le anse ingrossate, linfoadenopatie diffuse, stipsi e beh ecc. ecc. (Ma… niente diagnosi!)
Ginecologia. Avevo diversi problemi, aborto spontaneo a neanche 4 settimane, assenza di mestruazioni per mesi poi 2 o 3 cicli continui, corpi lutei, emorragie, dolore, adenomiosi, fibromatosi, cisti di grandi dimensioni, ovaie policistiche… (Ma… niente diagnosi!)
Dai spieghiamoci :-) in verità di diagnosi me ne fecero talmente tante che vorrei evitare di dirvele tutte a parte una, un giorno mi fu comunicato che avevo la Sclerosi Laterale Primaria e quando osai chiedere cosa potevamo fare mi fu detto di viaggiare e godermi la vita, entro 3 anni avrei smesso di camminare. (Vi garantisco che non fu così!)
Quando siamo usciti da lì con la diagnosi scritta pure nero su bianco son tornata in ufficio e mi sono bevuta un cappuccino pronta per la prossima mossa, perché quella era di certo errata!
Inutile dirvi che non credevo in quella diagnosi, non spiegava tanti altri problemi troppo borderline per esser compresi forse ma io li avevo e sapevo che qualcuno doveva “solo” metterli insieme per capire e tentare di salvarmi la vita.
Ho continuato le mie giornate come nulla fosse, anche se dovetti richiedere il part-time perché già ai tempi mi era difficile lavorare così tante ore, finché purtroppo il lavoro lo persi del tutto e con lui anche la carriera che così giovane stavo già facendo. Ma continuavo a fare tutto il possibile per proseguire la vita con una parvenza di normalità, nel frattempo facevo ricerche, cercavo di spiegare che i sintomi iniziavano ad essere troppi e troppo vasti per esser spiegati con una sola malattia neurologica. Eppure sì che avevo disfunzioni neurologiche (da quando mi misero sotto terapia antiparkinsoniana per esempio i tremori e le clonie un pochino si attenuarono) ma ero certa in cuor mio che erano secondarie ad altro così come ero certa che se non avessi trovato il medico giusto, e presto, non sarebbe finita poi così bene.

Ah… col passare del tempo avevo appreso talmente tante notizie mediche e nozioni scientifiche che l’idea di iscrivermi a medicina mi balenò più volte, mi balena ancora adesso!
Vedevo in TV il medical drama "Dottor House" e pensavo che se qualcuno aveva inventato un personaggio del genere forse esisteva davvero. Decisi che avrei trovato il MIO Dr House e ancora oggi ringrazio i produttori di quella serie Tv. :-)
Reumatologi/immunologi? Certo che sì! (Ma… niente diagnosi… neppure da loro!)
Finché un medico che non dimenticherò mai mi disse: “dobbiamo aspettare che ti aggravi, non appena la malattia che per ora gioca a nascondino si paleserà e farà un passo falso la beccheremo!” (Tra me e me pensai: oh mio Dio ma quanto “falso” deve essere sto passo?)
Per me quella frase fu tanto assurda quanto vera, in realtà forse la rabbia che ho provato in quel momento mi ha dato la forza di iniziare davvero a lottare per me stessa.
È piuttosto facile incolpare i medici di malpractice, di diagnosi ritardate e/o sbagliate. Ve lo dico perché io fui intenzionata per molto tempo ad avere giustizia finché compresi che la vera giustizia non la troviamo certo nella vendetta contro coloro che non hanno saputo o potuto aiutarci, la troviamo nella VITA. Una vita che cambia, ti toglie ma che è pur sempre vita da vivere, questa è l'unica giustizia da rincorrere. Il resto è energia sprecata. Gli anni passavano e nel 2014 ero ancora solamente ed erroneamente sotto terapia antiparkinsoniana, per le clonie e quella per la profilassi antidolorifica.

Nel frattempo però accadde un miracolo: ho incontrato l’amore della mia vita, Valerio.
Nel 2012 è iniziata la nostra storia e abbiamo avuto momenti meravigliosi, viaggi avventurosi su un Faro (in un’isola deserta), romantici come alle Maldive, weekend in giro per agriturismi o a pescare e altro ancora. Stavo male sì, ma ero diventata così brava a nasconderlo che a volte pensavo fosse stato tutto un brutto sogno… Lui un giorno mi guardò e mi disse: “guarisci perché voglio sposarti”.
Non avrei desiderato di meglio…
Di lì a breve iniziai però ad entrare ed uscire dagli ospedali tra ricoveri d’urgenza, ricoveri per inquadramento diagnostico, interventi chirurgici ma erano tutte “pezze” che si continuavano ad attaccare su un qualcosa di troppo rotto per esser riparato così superficialmente.

Nel 2015 si ammalò anche mio padre, venne operato prima di tumore alla tiroide poi al cervello, tutti benigni ma molto grandi e rischiosi. Io raccolsi tutte le forze che avevo e fui come sempre padrona della situazione. Non mi reggevo quasi più in piedi e guidare era faticoso specie perché contemporaneamente continuavano a rigirare anche me come un calzino e mi prelevarono tessuto da un muscolo dietro la spalla. Ero gonfia, infiammata e dolorante ma più di tutto preoccupata (non per me) e passavo tutti i giorni con lui e con la mia famiglia in ospedale. Sapevo che stavo chiedendo troppo a me stessa e mi venne in mente la famosa frase di anni prima “quando ti aggraverai capiremo cos’hai”.
Pensai, ahimè ci siamo. Provavo un dolore insopportabile ovunque, nausea, perdita di peso MA l’adrenalina ebbe la meglio almeno per un po’ e mi fece fare cose che solo Dio sa come ho fatto!
Quando mio papà guarì per grazia divina credo, io avevo già avuto (pochi mesi prima) un incontro che mi cambiò la vita: a Cascia di fronte a Santa Rita crollai per la prima vera volta. Le chiesi delle grazie, sì, ma non per me. Per me Le chiesi solo: “Ti supplico, aiutami a trovare la strada NON della guarigione ma della comprensione. Aiuta i medici a capire cosa ho, donami la possibilità di provare a combattere e la forza.”
Solo 1 mese dopo io e Valerio iniziammo ad organizzare il Nostro Matrimonio, dovevamo sposarci il 18 Giugno del 2016… era il matrimonio dei miei sogni, avevamo tutti bisogno di un pochino di felicità in mezzo ad un mare di dolore che quell’anno aveva rappresentato MA le cose non andarono come desideravamo.
Io iniziai ad aggravarmi sempre di più tra polmoniti che non passavano, difficoltà a respirare, collassi polmonari, pericarditi, pleuriti e tantissimo altro oltre alla mia salute che ahimè portò ad annullare il matrimonio. Io ero più in ospedale che a casa dopotutto e benché ci vollero circa 6 accessi al pronto soccorso e 4 ricoveri di cui 2 d’urgenza… finalmente ci dissero che ero affetta da una malattia autoimmune (connettivite).

Il coinvolgimento renale anche era ormai assodato, grazie ad un Primario di nefrologia (esterno all’ospedale ove ero in cura) che mi ricoverò un paio di giorni e mi fece la biopsia renale. Nonostante chi mi curava da anni conosceva la lenta ma consistente perdita di proteine non ritenne necessario fare la biopsia così la feci altrove, avevo infatti già immunoglobuline presenti nei glomeruli e appunto glomerulonefrite lupica.
Durante poi, nei mesi avvenire, una semplice visita pneumologica mi fu consigliato di "fare una passeggiata" a Napoli dall’unico in grado di aiutarmi poiché secondo loro io NON avevo affatto una connettivite indifferenziata ma un Lupus Eritematoso Sistemico con danni d’organo ormai ben diffusi.

Da quel momento non mi fermò più nessuno, erano stati 2 anni pieni di speranze e sogni e al contempo di dolori e sogni infranti quindi bisognava dare una scossa a tutto.
Nulla è impossibile quando si è determinati. Questo l’ho imparato bene.
Ho ottenuto una visita a Napoli (da un Prof che aveva liste d’attesa lunghissime) in meno di una settimana solo grazie ad una lettera accorata e chiara che gli scrissi.

Siamo agli inizi del 2017.
La diagnosi, il calvario durato più di 9 anni, giunse al capolinea. Avevo una grave forma di Lupus viscerale, multiorgano.
La mia prima reazione? Rabbia per non essere stata ascoltata da chi mi “curava da anni”.
La seconda reazione? Sollievo per aver avuto le risposte bramate.
La terza reazione? Gratitudine per chi stava provando a salvarmi ora.
La quarta reazione? Fede e speranza, mi sentivo come se Santa Rita avesse accolto la mia Grazia.
Tutte queste reazioni fecero a poco a poco sparire la prima, imparai col tempo che ogni mio stato d’animo influenzava la malattia e che non tutto certo ma qualcosa dipendeva anche da me.
Le terapie iniziali furono così forti che mi sembrò ben presto di aver preso una serie di pugni su un ring da Ivan Drago, lo conoscete sì, by Rocky 4 :-)?
Solo che del film che mi venne in mente, quello che dovevo ricordare era piuttosto la leggendaria frase e cioè: “Non ho sentito la campana!!!”.
Cavolo io davvero non avevo sentito la campana, il fondo lo toccai più e più volte ma mi rialzavo sempre. E quando conosci il peggio e gli sei sopravvissuta allora cambia tutto. Ti senti forte, combattiva, coraggiosa e speranzosa.
Decidi che nessuno può toglierti ciò che provi, ciò che SEI oltre le apparenze.
Solo Dio sa quanto possa esser stato difficile combattere negli anni con i cambiamenti che sopraggiungevano senza il minimo preavviso…
Passai 6 lunghi mesi su un divano a causa di una ostruzione linfatica che si faticava a capire da dove arrivasse, vedevo solo quelle 4 mura di casa, la mia cagnolina Ohana, Valerio la sera, i miei genitori e chi veniva a trovarmi. Fu una strana forma di vasculite/problema linfatico con ostruzione in parte nel seno (ove vi erano impiantate da anni protesi per ipoplasia mammaria congenita) e in parte nell’addome (appariva ostruita la vena cava).
Mesi di sofferenza che mi diedero però la possibilità di “CAPIRE” tutto o quasi. L’amore manda avanti il mondo. Chi pensa di poter fare tutto da solo è perso in partenza. Benché stessi passando un inferno in terra non c’è persona che scorse in me e nei miei occhi l’inferno, vedevano piuttosto la speranza e la fiducia in ciò che poteva e doveva, secondo me, ancora venire.
Al contempo io vedevo il dolore negli occhi di chi mi amava e questa era la parte più difficile da gestire.
Voglio sia chiara una cosa: MAI avrei potuto farcela senza il mio Valerio, senza i miei genitori, mio fratello, mia cognata, persino la famiglia di mia cognata, i miei nipoti meravigliosi, i miei zii, cugini/e, amici, amiche, i medici che ora sì che davvero tenevano a me, mai ce l’avrei fatta. Non mi sono sentita sola un momento, i miei bisogni venivano persino anticipati però mie care e miei cari compagni “lupetti” questo accade solo se accettiamo il nostro stato nuovo e più fragile.
Ve lo dico con certezza perché io non l’ho fatto subito e ne ho subito tutte le conseguenze rischiando di perdere molto, compresa me stessa.
Quando mi sono detta: “Roby sveglia! Non puoi proteggere gli altri da ciò che stai vivendo, non lo puoi fare più. Non sono così fragili come pensi, ce la possono fare!” … Questo ha cambiato tutto, ho scoperto di avere accanto persone molto più forti di quanto immaginassi, pronte a sostenermi ma soprattutto che NON avevano smesso di vedere in me quella “forza della natura” che ero un tempo. Per loro lo ero ancora e così ho capito che SI … io lo ero davvero ancora!

Dovrei scrivere un libro per potervi raccontare davvero tutto e chissà se un giorno lo farò davvero ma vi basti sapere che se il nostro quotidiano cambia non è detto che dobbiamo cambiare anche noi. Non del tutto almeno.
Certo prima potevo guidare, andare dove volevo in un attimo, ero io ad occuparmi di tutti e arrivavo sempre per prima laddove c’era bisogno di me. Oggi ho dovuto imparare a dire spesso “ho bisogno di aiuto”. Sapete cosa però mi rende felice ogni giorno? Scoprire che anche i miei cari hanno ancora bisogno del mio di aiuto!
:-) Tutti sono portati a credere che essere malati implichi non servire più a nulla ma non è così ve lo assicuro in modo davvero sincero. Capiamoci non è che faccia chissà che… ma negli anni ho abituato i miei cari a vedere in me un piccolo ma sempre aperto “porto sicuro”, perciò che sia un consiglio, che sia un problema burocratico, qualcosa che non si riesce a capire come risolvere… beh io il più delle volte ci riesco e credo pure di sapere perché!
Quando scopri che anche l’impossibile è possibile nulla ti sembra irraggiungibile. E così ci provi sempre perché sai per esperienza che al peggio non ci sarai riuscita MA ci avrai provato.
Pensate un attimo a cosa sarebbe successo se mi fossi anni fa arresa alle diagnosi evidentemente illogiche che avevo ricevuto?
Sarei viva oggi senza le terapie che seppur non curative almeno rallentano e tamponano?
Cosa sarebbe successo se mi fossi crogiolata nella disperazione piuttosto che combattere per scoprire il vero?
Cosa sarebbe successo se avessi trasmesso sensazioni negative a chi avevo intorno?
E se avessi deciso (come stavo per fare) che Valerio sarebbe stato più felice senza di me piuttosto che con me?
Conoscete già la risposta ad ognuna di queste domande che sono sicura riguardano più o meno tutti noi…
C’è chi vive il LES come un’invalidità fisica ma anche emotiva.
C’è chi lo racconta come una passeggiata.
C’è chi si abbandona agli “ululati del LUPUS”… beh facile ululare per un Lupo ma impariamo pure noi ad ululare e poi vediamo se ogni tanto tace!

La verità è che il LUPUS può essere anche tutte queste cose insieme, per ognuno di noi è diverso. Io mi sono beccata una forma molto aggressiva, diamine sono anni che non faccio pause dagli immunosoppressori tanto che a volte mi stupisco nel NON vedermi dopotutto così “soppressa” :-) Ma questo è accaduto perché il percorso dall'esordio alla diagnosi è stato lungo e tortuosi e grazie a Dio non è così sempre.
L’aspetto fisico per me giocava un ruolo abbastanza importante per non far vedere al mondo di cosa soffrivo perciò potrete immaginare che quando sono sopraggiunte, negli anni, complicazioni tali da rendere tutto molto visibile… ecco bene bene non l’ho presa inizialmente. Come negarlo.
Avevo un bel seno e mi stava bene qualunque vestito, la mastectomia me lo ha tolto e ancora oggi non si sa come ricostruirlo.
Avevo belle gambe, la vasculite e i linfoedemi spesso mi costringono a coprirle perché son gonfie e rosse.
Avevo lunghi, morbidi e bei capelli scuri, ora sono più opachi, diradati e ne perdo tanti MA altrettanti me ne ricrescono per fortuna.
Le mani artritiche non sono poi così carine e le unghie/dita ove compaiono i primi segni di scleroderma (per non farsi mancare nulla) non sono più così affascinanti con lo smalto :-)
EPPURE… mio marito mi dice che sono sempre il suo “bello micio” (così mi chiama), si addormenta ancora come 9 anni fa con i miei capelli vicini perché dice che lo calmano, mi vede meravigliosa anche quando ho bisogno di 1 o 2 stampelle per camminargli accanto. Non gliene importa niente se non posso ricostruire il seno, se m’hanno tolto le ovaie, io sono sempre la sua Roby.
L’ho chiamato “mio marito” perché quel famoso 18 Giugno del 2016 anche se avevamo annullato il matrimonio, io venni dimessa per un paio di giorni dall’ospedale così da poter fare la Cerimonia per la Promessa di Matrimonio in Chiesa. Quello scambio di Fedi benedette dal Parroco al cospetto di Dio sono valse tutto per me in quel momento. Perciò sì, in attesa di coronare quel sogno, per me Valerio è già mio marito e anche per Dio ne sono certa.

Se sarebbe stato più felice senza di me? Me lo sono chiesto tante volte tranquilli, dovreste chiederlo a lui! Io so che solo una persona che Ti Ama può decidere di vivere con Te e con un Lupo dentro casa e nel proprio letto :-), solo chi ti ama resta accanto a te senza abbattersi mai.
Lui dice che sono forte, coraggiosa e perseverante e penso abbia ragione ma chissà se è consapevole di quanto LUI e TUTTA LA MIA FAMIGLIA siano fortemente responsabili della forza innaturale che ho.
Diciamocela però tutta, io al momento non ricordo più come sia vivere senza “dolore”, ne sono annientata. Talvolta va meglio, talvolta peggio. Però fidatevi, se “vi fa male qualcosa” e vi buttate a letto e spegnete la luce non smetterà di farvi male anzi inizierà un dolore ancor più profondo: quello dell’anima.
Invece l’anima ve la dovete tenere ben stretta, la fiducia e la voglia di vivere ancora più strette. Ogni tanto andate davanti allo specchio e regalatevi un sorriso, non è una stupidaggine eh! Sorridere a voi stesse vi ricorderà PER cosa state combattendo. Ci saranno momenti di scoraggiamento, ci saranno lacrime, ci saranno pure momenti in cui vi chiederete ma chi cavolo me lo fa fare? In quel momento se sarete fortunati vi capiterà quel che capita ogni volta a me. Un messaggio da parte di tua madre che ti dice: ti vanno le fragole domani? Te le porto!
Una telefonata di tuo padre che sta in giro per negozi a fotografare i plaid per vedere se ce n’è uno che è proprio come lo volevi tu.
Un messaggio da tuo marito/moglie/compagno che ti dice: “bello micio” la settimana prossima faccio mezza giornata così stiamo più insieme.
La tua cagnolina che viene e poggia il musetto sulle tue gambe e ti guarda come a dire: non posso vivere senza di te.
Un messaggio di tuo fratello che ti dice: dopo passo a trovarti!
Una tua amica che ti scrive: grazie avevi ragione ho risolto proprio così. Tvb.
I tuoi nipotini che ti mandano un video dove ballano o ti portano dei disegnini con scritto: Ti voglio bene fino alla luna e ritorno zia Bibi!
Un tuo medico che ti scrive una mail solo per sapere come va!
Il santino di Santa Rita che senza alcuna ragione cade forse per dirti “Sono qui per Te come quella volta che Tu sei venuta da me”!
Spesso quando si sta male si guarda sì ma si smette di “vedere davvero”. La forza di combattere viene da tante cose ma soprattutto da dentro.
Io inciampo e cado un’infinità di volte, e non solo in senso metaforico :-), ma MI RIALZO perché come v’ho detto all’inizio beh “Io non ho sentito la campana”!!!

Sono innamorata del film Dirty Dancing da quando sono bambina, Valerio è un ballerino perciò tanti anni fa sognavo di fare quella coreografia al nostro matrimonio. Avevamo anche iniziato a prepararla… ma poi è andata come avete letto sopra. Almeno un paio di volte a settimana metto quel film, solo la parte finale, e sogno di essere lei. Sogno di ballare, di stupire tutti come fece Baby nel film. Però so che ci vorrebbe un miracolo per ballare… hahahah… a volte è complicato pure fare tre passi però vi confido una cosa! Due anni fa… avevo appena ricevuto i risultati della PET avevo un brutto tumore BOT alle ovaie e una linfoadenopatia grave ai polmoni, al mediastino. Insomma non ero conciata bene perciò mi misero in lista urgente per ricovero d’elezione ma non lo dissi quasi a nessuno! Due giorni dopo c’era il matrimonio della mia splendida cugina e volevo godermi la festa insieme a tutta la mia famiglia: vorrei farvi vedere le foto e i video di quel giorno… altroché se ho ballato, mangiato, riso, scherzato e di tutto di più. I miei medici me lo dicono spesso “se guardiamo i tuoi esami e le tue condizioni cliniche, vederti poi dal vivo è quasi incredibile”!!
Riesco e cerco di ricordarmi questo concetto quasi ogni giorno, perché vi confesso che a volte scorgere il “miracolo” in mezzo a tanto dolore fisico è difficile MA si può!
C’è una cosa che non so come definire, se stravagante o travolgente o del tutto inspiegabile, che mi è successa da quando convivo col LUPUS e con tutti i suoi “regalini”. Sono stata come avvolta da un’aurea che emana positività, luce e attrazione, non lo dico tanto per dire ma per ciò che è successo nel corso degli anni. Ogni volta che mi ritrovo in un luogo di sofferenza come un ospedale… incontro persone bisognose, chi di ritrovare la fede, chi di avere conforto, chi di sapere che andrà bene e chi semplicemente di avere qualcuno che gli tenga la mano. Non bastano 10 mani per contare tutte le persone viste solo per due o tre giorni e che ancora oggi sento e sento quanto mi amano, questo perché io per prima ho mostrato loro amore. Non c’è stata una sola volta in ospedale che io non abbia dovuto mettere nel cuore una persona o tutta la sua famiglia con essa… durante l’ultimo ricovero la mia compagna di stanza si chiamava “Rita”! Pensate un po’! Perse la fede anni prima quando morì il fratello ma uscì dall’ospedale prima di me e con la Fede ritrovata la mattina in cui mi disse “Roby posso venire con te?”. (Io quando sono in ospedale tra il momento dei prelievi e colazione e quello in cui c’è il giro visite vado nella Cappella dell’ospedale… SEMPRE… comunque io stia). La bella Rita ancora mi ringrazia senza sapere che io credo sia Dio che ci ha fatto capitare nella stessa stanza. Quest’ultimo esempio è solo uno dei molteplici e meravigliosi esempi che potrei farvi su quanto le persone mi avvicinino apparentemente senza motivo ma per poi scoprire che un “fine” c’è eccome.

Che si creda in Dio o no non importa al momento, vi basti pensare che questo che mi accade da quando mi sono ammalata fa di certo parte di un disegno più ampio di cui ognuno di noi fa parte.
La mia quotidianità? Oh sì che è cambiata! Ora ho degli hobby che mai nella vita avrei pensato di avere… Innanzitutto scrivo e correggo testi freelance per tante redazioni online e amo farlo. Poi ho scoperto che sono creativa… potrei passare ore a creare i quadri con la pittura diamantata, disegno sulle tele Aida quel che poi vado a ricamare e tutto questo lo faccio mentre (causa tremori e clonie) lancio in giro per casa i diamantini o i fili, mi cade tutto, così raccolgo e ricomincio. Oltre a questo amo leggere, mi apre gli orizzonti, vi suggerisco lo stile Sophie Kinsella :-) è perfetto per noi! Le succede di tutto ma fa ammazzare dalle risate il modo in cui alla fine se la cava sempre! La sera prima di addormentarmi è il momento invece di ritrovo spirituale con la Bibbia che ogni giorno mi da tante risposte che non vedo da sola. Alcuni giorni metto il karaoke in tv e canto :-) ma soprattutto mi piace farlo quando Valerio prende la chitarra e suona, quello è un momento che mi rimette al mondo.
Anche quando non posso far nulla se non stare a casa, ci sono grazie al cielo tante cose che mi fanno sentire viva ed è importante avere delle cose che ci appassionano e ci fanno sentire vive.
Se qualcuno mi chiedesse quali sono i momenti peggiori, non risponderei quelli in cui sto peggio ma quelli in cui devo spiegare ai miei amati cari che è accaduto qualcosa di nuovo o… va beh credo abbiate capito!
Il segreto è dirlo sempre con accanto un messaggio importantissimo: ce la faremo anche stavolta!!!
E fu così che arrivò il febbraio del 2020 a complicare le vite di tutti e le nostre già complicate vite col COVID. Cavolo vedere il mondo intero con la mascherina, non so a voi, a me ha fatto effetto. Io la uso da anni come dispositivo di sicurezza in situazioni affollate e conosco bene il termine quarantena avendo danni polmonari che mi costringevano ad almeno 3 polmoniti l’anno. Da quando c’è il COVID non ne ho avuta una di affezione polmonare. Non vorrei sbagliare ma è ovvio sia perché vedo SOLO persone che portano la mascherina (non sono più la sola a portarla). Con questo non voglio certo dire che sono felice della pandemia per l’amor di Dio, la detesto e non vedo l’ora di rivedere il mondo cui ero abituata, voglio solo dire che noi sappiamo cosa significhi l’immunodepressione e purtroppo ora lo sanno il più delle persone.
Questo li aiuterà a “capirci” di più?
Non lo so davvero, ma una cosa la so! Ci sarà sempre chi non comprenderà perché mai quella sera non ve la sentite di fare quanto avevate programmato. Ci sarà sempre chi vi dirà “non essere esagerata/o io ti vedo bene dai!”. Ci sarà ancora chi non capirà perché un giorno ti vede camminare spedita e tre giorni dopo ti vedrà con 2 stampelle. E così via…

Ma quello che dobbiamo notare è chi invece ci capisce, ci supporta (e sOpporta :-)), chi non si stanca mai di inventarsi modi nuovi per continuare a fare delle cose insieme a noi. E ci sono queste persone, io sono stata fortunata, davvero tanto ma ecco se dovessi fare un augurio a tutti voi… beh io vi augurerei proprio questo: di avere attorno persone che vi comprendono e che vi sostengono.
Io ho vinto moltissime battaglie e sono sicura che ne vincerò altre, la guerra… mah no forse non la potrò vincere ma non fa niente. Ci si pongono obbiettivi spesso troppo lunghi e complessi, se invece ce ne poniamo di più piccoli, raggiungerli sarà auspicabile e ci si ricarica in modi indescrivibili.
Non si guarisce l'anima senza prima ammettere ad alta voce ciò di cui si ha bisogno!
E vi assicuro che questo non ci rende meno forti, ci rende veri, perché è disumano pensare che da soli si possa fare tutto ciò che si faceva prima con una bestiaccia attaccata a… (va beh ognuno ce l’ha attaccata dove vuole ecco!).
Un giorno mio fratello mi scrisse in un biglietto di compleanno una frase che mi fece ravvedere su “tutto”: “Auguri all’unica persona che conosco in grado di camminare sotto il diluvio universale sorridente e con un palloncino rosso in mano!” Vi dedico questa frase con tutto il mio cuore affinché possa succedere a tutti di “sorridere sotto il diluvio”.

Ci sono momenti così difficili da non poterli neppure narrare ma come dice la canzone che amo di più: “Che sia Benedetta, per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta, per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta e siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta!”
Questo testo lo canto spesso da sola o in compagnia perché è tutta la verità che ci serve sapere… abbiamo il LES ma siamo sempre noi interiormente e ha ragione Fiorella Mannoia quando dice “perché niente finisce quando vivi davvero!”

Lo possiamo fare anche con il Lupus sì, dobbiamo farlo più degli altri perché per continuare a combattere ci serve sognare, credere, sperare, brillare, giocare, focalizzare e secondo me (ma è un mio personale pensiero) serve anche PREGARE e PERDONARE. Io ho perdonato anche chi aveva il dovere di “ascoltarmi meglio” per capire cosa avevo e non farmi finire come sono irreversibilmente finita ora, e perdonando loro ho compreso che nulla è impossibile da perdonare se abbiamo nel cuore tanta serenità quanta ne serve per essere davvero le Combattenti e le Guerriere che dobbiamo essere.

Il Lupus (il mio almeno) non si può sconfiggere ma gli si può impedire di prendersi tutto di noi.
Nell’intimo del nostro cuore non può e non deve arrivare.
Vorrei tanto trasmettervi la forza necessaria ad andare avanti e a volte anche a far andare avanti tutti gli altri. Quando si combatte una malattia serve una rete di supporto, se l’avete non respingetela mai!
Voglio ringraziare le persone senza le quali non sarei arrivata a scrivere questo (ce ne sarebbero molte altre ma alcune che cito sono state fondamentali per affrontare il LES e per farlo senza farmi togliere la gioia dal cuore).

Ringrazio infinitamente per avermi AIUTATO e per aver provato sempre a far l’impossibile gli specialisti che mi seguono: il nefrologo (Roma), l’immunologo (Napoli), il senologo chirurgo oncologo (Napoli), l’immunologo passato e attuale (Roma), il mio medico di base da sempre e che sempre mi sostiene, l’anestesista della Terapia del Dolore che prova a rendere migliore la mia qualità di vita.

Ringrazio la mia famiglia TUTTA dal primo all’ultimo e comprese le famiglie allargate (famiglia di mia cognata e Tutti i miei suoceri che mi trattano come una figlia).

Ringrazio tutti i miei stupendi zii, zie e cugini/e per esserci stati sempre.
Ringrazio mia zia Carla per aver fatto ricerche infinite insieme a me nel periodo più duro e zio Alberto per avermi accompagnato negli ospedali anche i più lontani.

Ringrazio la mia mamma e il mio papà ai quali spero di poter dare ancora delle gioie, senza la loro presenza costante e le loro “cure” non so come avrei affrontato tutto questo.

Ringrazio Valerio, chissà se la vita sarebbe stata la stessa senza di lui, non credo! Con tutto il mio amore spero di poterlo sposare presto e coronare quella Promessa di Matrimonio fatta nel 2016 in Chiesa, è uno dei miei sogni più grandi.

Ringrazio mio fratello Daniele, so per certo che senza di lui molte cose sarebbero diverse e mia cognata Giada per essere una sorella.

Ringrazio i miei nipotini, Irene e Matteo senza i quali non saprei il significato dell’amore incondizionato.

Ringrazio la mia cagnolina Ohana per avermi insegnato cosa significhi prendersi cura di qualcuno che dipende da te (non essendo mamma non lo avrei mai saputo altrimenti) e spero che tutto il mio amore compensi le cose che insieme non possiamo più fare.

Ringrazio gli amici e le amiche di sempre che non sono andati via.

Ringrazio il mio Diacono Riccardo e sua moglie Sara per avermi insegnato tanto e per esserci anche ora.

Ringrazio Santa Rita per avermi illuminato qualche anno fa quando rischiavo di perdermi.

Ringrazio Dio per avermi creata così come sono.

E infine ringrazio ME stessa per non aver mai smesso di lottare e per trovare sempre un motivo, almeno uno, per sorridere e combattere ogni giorno comunque vada.

Il LUPUS è una battaglia senza fine ma anche la nostra anima è infinita…
tiratela fuori in tutta la sua immensa bellezza!
Coraggio a tutti noi!


disegni
La storia di Asi
Non avrei mai immaginato che sarei stata in grado di raccontare i miei sentimenti, perché fino ad ora ho preferito affidare tutti i ricordi alla voce, che inevitabilmente va via veloce e non lascia tempo alla mente di focalizzare, rivivere ed emozionarsi.

Da quando il lupus si è manifestato ha avuto un grandissimo impatto su di me sia a livello fisico, ma soprattutto su quello psicologico ed ora sento che è arrivato il momento di condividere la mia testimonianza, affinché possa essere d'aiuto per coloro che stanno vivendo i loro primi approcci alla malattia.
Non so dirvi con precisione quando il “lupetto” decise di volersi svegliare e uscire fuori dalla tana, ma fatto sta che per i primi periodi della mia adolescenza soffrivo molto di artrite soprattutto quando facevo pallavolo (non pensate che mi allenassi a livelli agonistici, ma se uno sport mi prendeva lo iniziavo ben volentieri) e mi ricordo che ogni volta che tornavo a casa ero particolarmente stanca e alcune parti del mio corpo come le mani, le ginocchia e i piedi iniziavano a gonfiarsi a dismisura fino al punto di rendermi talvolta difficile anche la presa di un bicchiere o il semplice gesto di mettere le scarpe..
A questa situazione già instabile si aggiungevano poi i problemi di una quindicenne normale, che iniziava a scoprire se stessa, la propria identità e che inevitabilmente iniziava a fare i conti con il proprio aspetto.
Forse, fu proprio questo periodo di forte stress emotivo che fece sì che la malattia cominciasse a manifestarsi nelle sue piccole forme, fino a far definitivamente ribellare il “lupetto” dentro di me il 12 giugno dell'estate del 2015.

Premetto, sono sempre stata una ragazza che ama andare al mare ed arrivare alla fine dell'estate con un colorito caldo ma quel giorno fu diverso, nonostante sia sempre stata solita rimanere tutto il tempo sotto il sole, quel giorno quando arrivò il tramonto mi accorsi di sentire particolarmente freddo e quindi mi misi un asciugamano addosso e me ne andai a casa.
Tornata, sentii che la cosa stava peggiorando e dopo aver visto che avevo anche la febbre alta, con mia madre, decisi di prendere una tachipirina e di andare a letto nella speranza che il giorno dopo mi potessi sentire un po’ meglio.
Tuttavia, non fu così, la situazione peggiorò a tal punto che decidemmo di chiamare il mio medico di base per avere un consulto e per chiedergli dei consigli su come agire.
All'inizio si pensava che la causa di tutto fosse un’insolazione, ma i giorni passavano e io sentivo che il mio malessere cresceva e così decidemmo di dirigerci d’urgenza all’ospedale di Jesi, dove mi rivoltarono da cima a capo come un calzino.

Se provo a chiudere gli occhi, ricordo ancora lo smarrimento, le paure che mi affliggevano in quel momento. Ricordo il mio aspetto dopo i boli iniziali di cortisone, simile a quello di uno scoiattolo che fa la scorta di nocciole e che inevitabilmente mi rendevano sproporzionata come un giocatore di football, avevo un eritema cutaneo a forma di “farfalla”, le mani e le ginocchia erano esageratamente gonfie e il peso calava giorno dopo giorno accompagnato dalla stanchezza fisica che invece, cresceva a dismisura. Ma nonostante quei boli permettessero al mio corpo di stare meglio, la mia mente continuava a viaggiare a mille all'ora tra i numerosi dubbi e pensieri che non lasciavano posto alla tranquillità.
Si trattava davvero di una semplice insolazione?
Dopo esattamente due settimane che ero all’interno di quell’ospedale, quando la speranza stava svanendo, ricevetti il nome di ciò che mi aveva colpito non soltanto fisicamente ma anche emotivamente.
Lupus eritematoso sistemico, una malattia cronica di natura autoimmune.
Il nome del nemico era davanti a me e finalmente potevo combattere contro qualcosa invece di tirare inutili, disperati, colpi in aria.
Da una parte ero contenta di poter definire ciò che stava accadendo, ma dall'altra le paure aumentavano perché essendo una malattia poco conosciuta non sapevo cosa mi aspettasse, cosa comportasse e soprattutto come dovessi agire da quel giorno in poi.

Quella sera ebbi un crollo emotivo, perché capii che la mia vita da quel momento sarebbe cambiata anche se non lo volevo ammettere a me stessa. E si sa, i cambiamenti a quell’età, in piena adolescenza, non sono facili da affrontare, come ad esempio la perdita di capelli. Non dimenticherò mai la scena in cui mi passai la mano tra di essi e li vidi cascare. Non sono mai stata la tipica ragazza che ama truccarsi, ma i capelli sono sempre stati come una cornice per il mio volto, un qualcosa che ha a che fare con la mia stessa identità.
E vivere tutto questo a 15 anni quando l'aspetto esteriore, in un periodo come l'adolescenza, è fondamentale, è stato come uno schiaffo alla mia autostima.

Fortunatamente la malattia, nonostante si sia manifestata in maniera “violenta”, fu presa in tempo e questo fece sì che non peggiorasse e che non ci fossero ulteriori coinvolgimenti da parte di altri organi.
Dopo un mese di ricovero tornai a casa e da quel momento fino ad ora sono stata presa in cura presso l'ospedale di Genova nel reparto di reumatologia.

Inizialmente non presi bene questa notizia, perché dopo tutto quel tempo passato in ospedale solo l'idea di doverci tornare, anche solo per dei controlli, mi pesava. Ed anche i viaggi stessi per arrivare a Genova non li vivevo bene, ero sempre di cattivo umore. Con il tempo però sono riuscita a trovare in questo viaggio anche il suo lato positivo, ovvero quello di poter avere l'occasione di apprezzare la bellezza della città, nonostante l'obiettivo principale non fosse quello di visitarla ma di vedere come proseguiva la malattia.
E recentemente, proprio nell'ultima visita, ho raggiunto un altro traguardo, quello di non dover più prendere il cortisone per il resto della mia vita.

E ora sono qui, immensamente grata alla vita, ai medici e a tutti coloro che mi sono stati vicino in questo mio cammino lungo e tortuoso, alle volte quasi impossibile da percorrere.
Con il passare degli anni mi sono resa conto che la guarigione non era un ritorno alla mia vita di prima, come pensavo all'inizio, ma un imparare a convivere con una nuova versione di me. E per fare questo fu necessaria una vera e propria presa di coscienza, che seppur estremamente dolorosa, mi consentì di afferrare la fragilità e la paura che avevo portato dentro per tanti anni e di convertirle in forza, la quale mi permise di intervenire in maniera lucida e attiva nel processo di remissione.

Ad oggi, mi sento di dover ringraziare anche la malattia, perché è ciò che mi ha resa capace di gioire per ogni piccola cosa e che, nonostante tutto, mi ha dato serenità e fiducia nel mio futuro.
Ed ora che sono soddisfatta delle consapevolezze che sono riuscita ad acquisire e che mi hanno portato serenità, vorrei trasmettere questa tranquillità agli amici lupetti visto che il riuscire a raccontare è per me una delle più grandi vittorie.
disegni
La storia di Fegiggia
Premetto, non ho il Lupus. Vi chiederete allora a quale titolo sto scrivendo qui la mia storia. Penso di poter scrivere di Lupus perché sono figlia e madre del Lupus.

Sono nata sessant’anni fa, da una madre bella e apparentemente sana che aveva già una figlia e voleva un figlio maschio. Sono nata io, Federica al posto di Federico. Mi raccontano che ero bella e buona. Avevo venti giorni quando i miei genitori mi hanno portato per la prima volta a fare una gita. Mi raccontano che durante il viaggio di ritorno mi sono addormentata profondamente, e a casa ho saltato la poppata. Mi raccontano che a mia madre è venuta la mastite (a causa mia) e poi una nefrite, che le ha causato alcuni mesi di ospedale.

Mia madre aveva il Lupus e non lo sapeva. Ignara, ha avuto poi il tanto desiderato figlio maschio, senza avere alcun problema né durante la gravidanza né dopo il parto (quindi era proprio colpa mia?). Le hanno diagnosticato il Lupus solo molti anni dopo, a causa di problemi alle articolazioni, alla tiroide, alla pelle. Ora ha 88 anni e un po’ di acciacchi, ma fino a qualche anno fa andava a ballare con gli amici.

Quindi perché avere paura del Lupus?
E poi mia figlia, la mia unica figlia, luce dei miei occhi e ragione della mia vita.

Otto anni fa nasce il mio primo nipotino, Massimo, e dopo pochi mesi mia figlia rimane nuovamente incinta. E comincia a stare male, e noi pensiamo sia lo stress per la seconda gravidanza ravvicinata. Ma ha tutti gli esami sballati, tra cui la proteinuria altissima. L’affidano al centro gravidanze a rischio del Policlinico Umberto I, ed il giorno di Natale arriva il regalo più bello. Nasce Vittoria, ed è veramente una “vittoria”. Nasce prematura, ma bella e sana. Ma i risultati degli esami di mia figlia continuano ad essere sballati. Dopo la biopsia renale inizia il suo percorso da lupetta, con alti e bassi, fasi acute e fasi di remissione.
E io sono qui, nel mezzo. Non ho il Lupus e non capisco perché a mia figlia e non a me. Poi penso a mia madre e a come andavano le cose sessant’anni fa, e mi rincuoro. La ricerca va avanti e le lupette ora sono consapevoli e agguerrite. Prego Dio, e sostengo la ricerca.
disegni